Una Fucina di idee: Peppino Lopez racconta e si racconta
D. “Allora, Peppe, posso chiamarla Peppe, così mi dicono la chiamino gli amici, Fucina è un marchio recente, ma la sua passione per il design ha origini ben più remote. Giusto?”
R. “Proprio così. Sin da bambino, sono sempre stato attratto dal bello, che mi si manifestava nella natura rigogliosa della mia terra, nei colori del cielo e del mare di Sicilia e nella ricchezza architettonica della mia città, Ragusa, risultato di passaggi e sovrapposizioni di culture le più diverse”.
D. “Da quanto mi dice, il naturale sbocco nella sua formazione non poteva che essere lo studio dell’architettura”.
R. “Sì, questa è stata la strada intrapresa. Con una scelta naturale ma anche un po’ sofferta, perché ha comportato l’allontanamento da casa e, come per ogni siciliano doc, la terra natia è madre amorosa che soffre ogni partenza. Una sofferenza che è più intensa per un isolano, perché la peculiare dimensione geografica che ci fa ritenere separati dal resto del mondo può rendere il salto temuto e rischioso”.
D. “Ma anche andarsene è un atto d’amore, motivato dalla scelta di crescere e magari tornare un giorno dove tutto è cominciato”.
R. “E così è andata. Dopo la laurea, e dopo collaborazioni prestigiose con vari studi di architettura al nord, ho cominciato ad avvertire ‘il richiamo delle sirene’ e sono tornato con la testa affollata di idee, all’inizio un po’ confuse ma ferme su un punto: l’esperienza maturata mi aveva reso chiaro che la mia vocazione non era costruire edifici, ma oggetti, utili e belli.
D. “Del resto, non c’è che differenza di scala tra concepire un edificio e un cucchiaio. Come diceva Ernesto Nathan Rogers, entrambi hanno al centro l’uomo: dall’esigenza primaria del mangiare a quella molto più complessa dell’abitare”.
R. “All’inizio ho pensato di convogliare la mia passione nella creazione di piastrelle artistiche, di cui la Sicilia vanta una tradizione antichissima. Poi, mi ha folgorato l’idea che la ceramica potesse essere plasmata, con tecniche simili, per la creazione di un oggetto che potesse essere al tempo stesso funzionale e unico”.
D. “Il piatto, suppellettile di antichissima tradizione, indirizzato verso la serialità nel secolo scorso, quando avere un servizio completo per la tavola rientrava tra i desideri di ogni famiglia”.
R. “Con la differenza che il mio intento era proprio quello di distanziarmi da una produzione in serie, per creare invece pezzi unici. Non, però, oggetti decorativi ma pensati per essere usati”.
D. “Nascono così le varie linee di Fucina-nato dalle mani. Piatti modellati, senza stampi, diversi uno dall’altro”.
R. “E tutti, almeno finora, plasmati in ceramica bianca, materiale duttile che mi ha consentito di trasferire dalle mani nel processo di lavorazione le emozioni e le suggestioni che di volta in volta affollavano la mente”.
D. “Il mondo della ristorazione si è presto accorto di lei…”
R. “Il caso e un po’ di fortuna mi hanno fatto incontrare i cuochi di alcuni dei più prestigiosi ristoranti d’Italia. Così è nato il progetto Design for chef, che è confluito da poco in Fucina-nato dalle mani”.
D. “Il caso, la fortuna, ma sicuramente – ce lo lasci dire – il riconoscimento di un talento e della passione che lo anima”.
R. “Grazie. L’amore per il mio lavoro è sicuramente la molla che mi proietta sempre verso nuovi obiettivi. Ad oggi, la mia principale aspirazione è che le creazioni di Fucina possano trovare posto anche sulle tavole di ogni giorno, per restituire forza e bellezza al rito del pranzo in famiglia, che va perdendosi nella frammentarietà e nella frenesia della vita moderna”
“La sua speranza è anche il nostro augurio per un desiderio di condivisione della bellezza che ci rende umani”.